ROSSANA, FIORE DI CILIEGIO

Come il karate può aiutare donne e ragazze ad acquistare sicurezza in sé stesse, determinazione, positività. Conservando tutta la dolcezza e l’eleganza femminile. La testimonianza di Rossana Flore.

Caterina Marmo

Incarnato pallido, capelli scurissimi tagliati a caschetto, sguardo profondo dalle iridi altrettanto scure, Rossana Flore corrisponde all’archetipo della bellezza giapponese. Potremmo immaginarcela a passeggio in un giardino nipponico, all’ombra di un grazioso parasole, con la melodia di ‘Sakura’ in sottofondo.

Se non fosse che Rossana non ha gli occhi a mandorla, ed è come si può intuire dal nome, italianissima.

Colta, curiosa e vivace – lo si può constatare dalle citazioni letterarie e dalle belle immagini pittoriche che popolano il suo profilo Instagram. @rossanaflore

Rossana ama la natura, e in particolare i fiori – nomen omen.

Si cimenta spesso in creazioni artistiche e culinarie – adora soprattutto preparare dolci, di cui condivide generosamente le ricette.

Dotata di spiccata autoironia, riesce a divertirsi e a divertire presentando l’esito non proprio sfavillante di alcune sue imprese in cucina – ma a noi piace così, senza filtri, senza tanti ghirigori e decorazioni artificiali ad appesantire torte patinate che spesso sanno di plastica, o di Photoshop.

Rossana Flore oltre a tutto questo è anche e soprattutto una karateka, che sulla via si è forgiata e che ha una storia da raccontare. Storia di coraggio e di rivincita che può esser d’esempio a molte donne e ragazze, e che qui vi proponiamo.

Fin da bambina, la nostra protagonista amava le arti marziali, anche perché le erano familiari grazie al fratello, judoka.

Purtroppo, per vari motivi non le è stato possibile praticarle da subito, ma lo spirito che anima ogni vero guerriero è sempre stato con lei e le ha fatto da guida.

Non ha goduto di una infanzia dorata Rossana, è cresciuta in una casa popolare, e in un ambiente in cui le è accaduto di assistere a episodi terribili, dei quali fa fatica a parlare ancora adesso. Hanno coinvolto soprattutto adulti, suoi vicini di casa, che non erano propriamente definibili ‘brave persone’. I suoi ricordi peggiori sono legati a quando alcuni estranei hanno provato a entrare nell’abitazione di famiglia tentando di forzare le porte e le finestre con spranghe e altri oggetti. Rossana si trovò da sola con la madre a fronteggiare questa situazione orribile – il padre e il fratello erano stati allontanati con un pretesto da una delle nonne.

Chiaramente, da bambina era la paura, enorme, a prevalere. Crescendo, Rossana ha cercato di riflettere sul perché di tutta quella violenza, sul potere e sul fascino che esercita, su come riesce ad aggregare persone che non si pongono mai domande sul loro modo di agire, non hanno mai dubbi. E che di sé riescono a mostrare soltanto il lato peggiore.

Oltre alla paura, da piccola Rossana ha provato anche il dolore dell’emarginazione, e dei giudizi squalificanti. Non si curava troppo del proprio aspetto, oggi si direbbe del ‘look’, così importante per poter essere accettati nei gruppi di coetanei. Per di più, era afflitta da balbuzie- da cui poi è guarita – che certo non l’ha facilitata nei contesti sociali. Tanto che a scuola s’è trovata a subire pratiche di bullismo. E questo l’apparenta a tanti che hanno cominciato a praticare arti marziali proprio per difendersi dai bulli pestiferi incontrati in strada o a scuola.

Il primo nome che ci viene alle labbra è quello di un maestro di karate Shotokan di Milano, esperto soprattutto di kumite. Era un insegnante a detta di tanti straordinario, ma conosciuto dal grande pubblico solo per le doti di cantante e di attore: il Dr. Vincenzo Jannacci in arte Enzo.

Rossana ha imparato presto che il mondo non è tutto color di rosa, ma nemmeno bianco, o nero. È un complesso di sfumature nel quale si può, si deve scegliere da che parte stare. E per lei le arti marziali – e specialmente il karate – hanno rappresentato proprio questo: l’alternativa al suo vissuto pesante.

 “Nessuno si salva da solo, ma è anche vero che nessuno può salvarti.” Così dice Rossana, che ha deciso di non recitare la parte della fanciulla inerme e indifesa, in attesa perenne di un principe pronto a salvarla.  E ovviamente nemmeno quella della vittima. Ha deciso invece di diventare una guerriera, perché le guerriere erano il suo modello. Il karate è la strada giusta, dato che riesce a incanalare, a disciplinare la rabbia, a trasformarla in energia e a renderla utile.

La tigre Tora, il simbolo dello Shotokan, diventa il suo salvaschermo sul computer, e le pagine del decalogo di Funakoshi sua compagnia e lettura abituale. Ispirazione per la vita quotidiana, compendio di lotta e durezza ma anche di riflessione e delicata eleganza.

Il suo sogno finalmente si concretizza col ritorno in Sardegna, dopo la laurea, al paese d’origine di suo padre. Camminando per le vie del centro storico, le appare una vetrina su cui campeggia una scritta: karate. Per Rossana è come un piccolo miracolo, un dojo di Macomer sta per aprire una filiale ad Abbasanta.

L’inizio in realtà non è facile. Perché il karate ti mette di fronte a te stesso, ai tuoi limiti, al fatto che il peggior nemico di te stesso sei tu, e quindi giocoforza si è in difficoltà pur se la passione è grande.

Rossana non si è lasciata abbattere, ha proseguito il suo cammino anche grazie agli incitamenti del suo Maestro, e della Sempai sua moglie.

” Secondo me è una combattente.”

Queste le parole che l’insegnante le ha sempre ripetuto. E che l’hanno convinta d’aver scelto bene: dolcezza e spirito combattivo. Proattività e non passività. Un modo di comportarsi, una filosofia di vita sempre attuali, a maggior ragione oggi, per l’universo femminile.

Il carattere forte di Rossana ha trovato nel karate fondamenti teorici e riscontro pratico. Anche nel rapporto con l’altra metà del cielo, quella maschile.

Il karate l’ha portata a professare un femminismo dichiarato – nel senso della difesa delle pari opportunità, dallo studio al lavoro alla tutela dei diritti – che non sconfina in quello puritano, ancorato alle radici del movimento e perciò durissimo con gli uomini – dipinti come dèmoni, contraltare di donne- angeli.  Un femminismo che abbraccia, rovesciandoli, i canoni del patriarcato rendendosi troppo lontano dalla realtà.

Il karate in effetti è nato come pratica prettamente maschile, che si è aperta solo gradualmente alle donne, in quanto considerata poco aggraziata e quindi inadatta a loro. Pregiudizio che incredibilmente resiste, in un’epoca in cui le donne tirano di boxe, si affrontano nel wrestling…Racconta Rossana che nel suo dojo non si vedono né bambine né ragazze. Un vero peccato. Forse perché lo stereotipo della donna fragile ha ancora presa, con tutte le sue conseguenze limitanti – la lotta non si fa, non sta bene, il combattimento non è roba da femmine.  Spesso sono proprio le dirette interessate ad alimentarlo.

E invece, dice lei, il karate è paragonabile al fiore di ciliegio, di una bellezza ineffabile.

Nonostante sia innegabilmente dimostrazione di forza e di coraggio.

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